Ambulanti chiusi , il diritto al lavoro prigioniero a Roma
IL DIRITTO AL LAVORO PRIGIONIERO A ROMA
Che il DPCM avesse un bel po’ di “buchi” è apparso chiaro subito a tutti, soprattutto alle tante imprese che sono state costrette a chiudere e che (perché succede anche questo per il codice ateco relativo al settore calzature da adulto) non sono neanche state inserite nella lista di coloro che possono fare accesso ai ristori.
“A Livorno abbiamo avuto, forse unico caso su tutto il territorio regionale” ci tengono a precisare gli esponenti dei due sindacati ANVA e FIVA “un sindaco che nella volontà precisa di sostenere le imprese ha provato a dare un’interpretazione estensiva della norma, un atteggiamento di coraggio a livello locale che dovrebbe far riflettere e molto a livello nazionale e di questo gliene siamo grati. Tutto il resto sono azioni che lasciano il tempo che trovano se non vengono portate avanti a Roma e per questo lavoro i nostri rappresentanti nazionali stanno instancabilmente lavorando. Ma dev’essere chiaro che le responsabilità di certi gravi errori che impattano sulle nostre imprese non sono qui, ma a livello del governo centrale” concludono con estrema amarezza.
“A Roma regna il caos e a farne le spese sono le imprese” affermano per Confesercenti il direttore Alessandro Ciapini e per Confcommercio il direttore Federico Pieragnoli “la nostra associazione lotta ogni giorni ai tavoli istituzionali nazionali per correggere errori che potevano essere evitati se, al momento giusto, si fosse fatta concertazione: invece siamo costretti a subire il danno dell’errore e la beffa di dover attendere i tempi elefantiaci del governo per correggere errori palesi e nel frattempo si perdono imprese, incassi e posti di lavoro”.
Il caso delle imprese del settore ambulante è, nello specifico, quello più ingiusto, paradossale ed iniquo.
“Non capiamo come sia possibile che a fronte della stessa situazione che abbiamo vissuto a primavera al momento del lockdown, noi operatori su area pubblica ci siamo ritrovati di nuovo alle prese con un dpcm ed un allegato (il n.23 ndr) che invece che ammettere alla vendita ambulante tutte le tipologie consentite anche in sede fissa, fa di nuovo una divisione in caste, dando la possibilità di lavorare a determinate sesgmenti di imprese in sede fissa ed alle stesse su suolo pubblico no” spiegano i dirigenti di ANVA e FIVA.